MaxPayne3larecensioneAvevo già recensito a suo tempo il terzo capitolo della saga di Max Payne (qui: https://ossessionicontaminazioni.wordpress.com/2012/06/17/il-nuovo-max-payne-annega-nella-bottiglia/), ma complice forse la crisi generazionale delle consolle, me lo sono ripreso e rigiocato dall’inizio alla fine. A quello che già avevo scritto all’epoca, che confermo in toto, vorrei ora aggiungere la sensazione di disperata solitudine, di smarrimento che prova il giocatore che veste i panni di Max Payne. I dialoghi in portoghese, volutamente non tradotti, ci lasciano perennemente confusi su quello che realmente sta succedendo, e lo stordimento prodotto dal mix di alcool e droghe amplifica esponenzialmente tale effetto.

Max Payne in Brasile è un po’ come quell’uomo in un racconto di H.G. Wells che, capitato in un paese dove tutti sono ciechi, pensa di sfruttare la propria superiorità visiva per farsene re, mentre è costretto suo malgrado a scoprire che la mancanza della vista non rende gli abitanti del paese esotico inferiori di lui, ma al contrario li rende in grado di difendersi dalle sue mire. Max Payne l’americano, che si crede superiore a tutto, ormai rotto a qualsiasi rovescio di fortuna gli si possa presentare, in grado di riconoscere qualsiasi perversione del criminale animo umano, si ritrova completamente raggirato dai potenti ed astuti manigoldi che lo usano come “gringo”, vecchio, alcolizzato, completamente all’oscuro delle dinamiche e della lingua del luogo – ed alla fine puro pelato -, unicamente come macchina assassina per eliminare i propri rivali senza porsi particolari domande. Ed alla fine è proprio quello che constata il nostro Max: mi hanno assunto per essere un assassino, ma se c’è una cosa che noi americani capiamo bene è il capitalismo ed otterrete esattamente quello per cui avete pagato. Un assassino che alla fine, di fronte a crudeli e sanguinose faide militari, di fronte a squadroni paramilitari addestrati all’unico fine di raccogliere poveri e straccioni come materia prima per un fiorente commercio di organi umani, di fronte allo strame dei malcapitati poveri o ricchi che il cattivo di turno compie facendosi schermo della sua onorabilità, un assassino che alla fine – si diceva – non guarderà in faccia a nessuno, e ammazzerà tutti i cattivi, anche quelli che lo hanno pagato.

Ancora più che i precedenti capitoli questo terzo è un amarissimo e pessimistico noir sulla natura umana, sull’impossibilità di essere eroi per quanti cattivi si sia capaci di eliminare. Di fronte a tutto il male che lo sommerge Max non uccide Passos, che pure lo ha imbrogliato e manovrato, ma lo lascia andare con la sua donna – Giovanna, sorella di Fabiana, cognata di Rodrigo e Marcelo, tutti e tre morti a causa degli intrighi in cui lo stesso Passos era coinvolto, più o meno coscientemente – e con suo figlio che ancora deve nascere come sorta di cambiale in bianco per averlo nonostante tutto aiutato quando si trovava in difficoltà. Addirittura Max lascia libero di scappare Serrano, il capo della gang Comando Sombra che rapisce Rodrigo, che ammazza Fabiana e Marcelo, perché si rende conto che i crimini da lui commessi, per quanto orribili sono nulla di fronte alla fabbrica per l’espianto e la vendita di organi umani in cui egli stesso e tutti i suoi miliziani sono diventati carne da macello. E come tutti i veri eroi americani, alla fine Max se ne esce di scena camminando verso uno spettacolare tramonto dopo aver saputo che l’orchestratore di tutto il complotto è morto impiccato nella sua cella, forse suicidio, forse omicidio per impedire che rivelasse altri nomi del complotto. E la pace che ispira il quadro è solo apparenza, e se per una volta l’iperloquace Max non trova nulla da dire, nessun salace commento con cui distrarci, forse è perché si tratta di una pace che kantianamente richiama quella dei cimiteri le cui fosse Max – e noi per suo tramite – ha contribuito abbondantemente a riempire.

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GOCCIA DI SAGGEZZA

Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson

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